pms?

Ieri sera avevo un compleanno, nel pomeriggio ho fatto una torta salata (questa qui ma senza i pomodorini),  poi ho aspettato che si freddasse, l’ho incartata e tutto quanto. Sono uscita. Sono tornata per mezzanotte sono andata in cucina a preparare la macchinetta del caffè per il giorno dopo sono andata a dormire. Stamattina il coinquilino mi ha detto: hai lasciato il forno acceso. Per fortuna se n’è accorto quando è rientrato verso l’una di notte, perchè in casa si moriva di caldo. Io non mi ero accorta di nulla.

Poi. Ho messo sul comodino una ricetta medica per ricordarmi di passare in farmacia. Stamattina, la prendo insieme a un insieme di scontrini vecchi, l’appallottolo (bello questo verbo appallottolo, bello da scrivere) e la butto via.  (poi dopo me ne accorgo e la recupero)

Poi. Stamattina vado a prendere il treno. Arrivata al binario guardo l’agenda per controllare vagone e posto: 3:26. Chiudo l’agenda. 3:26, 3:26. Salgo al vagone numero 7.

pms?

come si chiama questa cosa che vi racconto

Giovedì scorso ero a Padova alla stazione, mancava ancora mezz’ora al mio treno e allora sono entrata in libreria a spulciare qui e là. Volevo raccontarvi che io ho quel giorno ho fatto quella cosa che non mi ricordo come si chiama, si chiama boicottaggio dei libri, si chiama non mi ricordo che tu prendi un libro di tuo interesse che secondo te vale la pena e che sta nascosto e che nessuno se lo fila e che fai lo metti in bella vista lo metti in cima sulla colonna dei libri di fabio volo e della kinsella, dio come si chiama questa cosa rivoluzionaria che tu fai la rivoluzione zitto zitto nel tuo piccolo angolo di mondo libresco? Come si chiama questo piccolo privato atto di terrorismo intellettuale, questo terremoto farfallesco?
Vabeh, io spulciavo, come vi dicevo e mentre spulciavo ho visto un libro che ha scritto uno che conosco. Ora, non è proprio che lo conosco questo qui. Io l’ho visto una volta, alla presentazione del suo libro appunto, e poi, dopo un paio di settimane, l’ho beccato sul regionale prato-viareggio e abbiamo fatto il viaggio insieme. E io avevo finito di leggere il suo libro due giorni prima e gli ho detto: scusami ho una valigia più pesante di quella di petronella, che è una bambina che è un personaggio del suo libro e lui ha sorriso perché ha capito che intendevo proprio quella petronella lì. Che io penso che se io scrivo un libro per la prima volta che mi pubblicano e poi becco in treno una che ha finito di leggerlo due giorni prima e che mi cita pure petronella e petronella me la sono inventata io, boh io penso che mi farebbe piacere.
Bene, io questo libro stava in tre copie infilate nel terzo scaffale in basso a sinistra. Io le ho prese tutte e tre e le ho messe in piedi sullo scaffale ad altezza uomo, ma non tutte sullo stesso scaffale, su due scaffali diversi, così dove ti giri ti giri, il libro è là.
Il libro è questo, voi però me lo dite come si chiama questa cosa della migrazione silenziosa di libri?

Del tornare in un posto che tu pensi che sia ancora lì e invece non è più lì

L’altro giorno mi trovavo in quella città elastica fatta di ponti che si allungano e calli che si restringono, quella città assai bagnata avete capito quale, e insomma stavo andando in un dipartimento ed ero molto contenta perché erano le nove della mattina e quell’aria settembrina fresca e la gente che va al lavoro e il rumore dei tacchi (non i miei, non oserei mai in quella città lì) e gli studenti che prendono il caffè e insomma ero contenta e anche perché per arrivare a quel dipartimento lì bisogna prendere la gondola, anzi il gondolino si chiama così che è proprio una gondola che tu paghi cinquanta centesimi (io pensavo che avevano alzato il prezzo e invece no è sempre cinquanta centesimi, una volta forse erano mille lire) e lei ti porta dall’altra parte del Canale, ora avete capito che città è, eh, insomma sono circa un minuto e mezzo di traversata ma è pur sempre un giro in gondola a cinquanta centesimi, che bello a me piace sempre andarci e insomma ci sono andata e poi niente sono arrivata davanti al portone ed era chiuso, tutto chiuso che sapete, quel dipartimento lì non è più lì, da un po’ di anni ormai. Io non lo sapevo e mi sono sentita vecchiaaaaa. Che poi quel dipartimento lì lo hanno messo al posto della biblioteca generale e la biblioteca generale l’hanno messa al posto di una banca e la banca l’hanno messa al posto, ora non so dove l’hanno messa la banca comunque non è importante. Io volevo dire che alla fine l’ho trovato quel dipartimento e non sono arrivata in ritardo e insomma la riunione è cominciata e io mi sono guardata intorno. Ora sapete, quando io partecipo a qualcosa di serio e importante, siccome sono tesa, mi parte una cosa che comincio a osservare delle cose stupide, delle quisquilie e poi mi parte l’autoironia e mi viene da ridere e non posso ridere e insomma così. Io quel giorno mi sono messa a guardare che penne usavano gli altri. Tutti gli altri usavano delle penne molto serie e professionali: c’erano le bic, c’erano le pilot, c’era la tratto pen, poi ho guardato la penna che stavo usando io. Io stavo usando una penna di Titti rosa e arancione con tutte le stelline e i brillantini e la catenella attaccata al tappo con scritto Tweety che mentre scrivevo tintinnava leggermente….io la usavo perché era l’unica penna funzionante che avevo in borsa che è la penna che mi ha regalato una mia bambina di seconda media l’anno scorso che io da quando me l’ha data la uso sempre perché lo so che lei è contenta che vede la sua professoressa che usa sempre la penna che le ha regalato e si sente voluta bene. A scuola infatti va bene. Ma lì, in mezzo a tutte quelle serissime bic e quelle pilot professionalissime, la mia tin tin tin tin che luccicava al sole e scampanellava, tin tin tin tin , mentre la capa parlava io un po’ mi veniva da ridere e un po’ pensavo che no, non sono abbastanza seria per frequentare questi posti universitari pieni di gente intellettuale. Io no.
Poi volevo anche dire che verso le sei di sera camminavo verso l’autobus e c’era la luce arancione e c’era silenzio e c’era lo sciacquio dell’acqua del canale che era diventata arancione pure lei e c’erano i ponti da attraversare e c’ero io che ero stanca ma che stavo bene con quella luce così arancione e soprattutto non passavano le macchine e ho pensato che un giorno forse sarebbe bello vivere qui.
Poi volevo anche dire che questa volta ho usato carattere 18 perchè a me mi sembra troppo piccolo leggerlo il 16, insomma lo faccio per voi.

post alla maniera dell’ultimo capitolo dell’Ulisse

che domani è il primo giorno di scuola ma gli studenti non lo sanno che chi veramente è intimidito impaurito preoccupato chi veramente ancora prima di cominciare è già stressato chi varcherà la soglia di quella classe tremolante e incerto anche se ormai si è specializzato nel fingere grande sicurezza e padronanza di sé e severità e autorevolezza chi dovrà sostenere sessanta occhi che ti guardano sì sessanta se non di più nelle scuole di oggi ahimé fingendosi totalmente sicuro di sé e con la situazione sotto controllo e che invece la situazione sotto controllo non ce l’ha per nulla chi piuttosto che rientrare in quei locali stantii e reminiscenti di ricordi sicuramente brutti si butterebbe giù da una finestra chi ha passato tutta la domenica pomeriggio a inventarsi che cazzo fare per due ore intere in una prima media incombente e sconosciuta nella quale la preside ha avvertito non portate niente il primo giorno di scuola solo il diario e una penna e tu insegnante di inglese ti devi inventare non so quali follie per intrattenere 30 ragazzini di cui 14 provenienti dalla stessa scuola e dalla stessa classe per cui per nulla impauriti o smarriti chi poi si è lavato e profumato e preparato i vestiti che non devono essere troppo eleganti ma neanche trasandati e non da giovinetto ma da insegnante moderna e all’avanguardia e adulta e un po’ suscitante timore e soprattutto non scollacciata che te l’ha detto la vicepreside una volta eh sai quella maglietta è un po’ troppo scollata e quell’altra volta che la preside ha detto alla collega ma come ti sei vestita in pigiama hahaha e allora te lo sai che devi stare molto attenta a vestirti e a essere in ordine e stirata e con i capelli pettinati eh sì che quello è un bel problema che io ho i capelli ricci mo’ chi ha i capelli ricci lo sa che tenerli in ordine beh è un po’ complicata la storia e allora io li ho lavati per bene stamattina e ho messo prima lo shampo e poi il balsamo e poi tre creme in ordine i cristalli liquidi per le doppie punte e poi il sansilc crema disciplinante e anticrespo e poi non contenta ce l’ho messa quella noce di schiuma che fa il miracolo ma invece no i capelli mi sono venuti un cespuglio lo stesso perché qui a roma l’acqua del rubinetto è molto calcarea è piena di calcio quindi io non so cosa il calcio faccia sui miei capelli che insomma mi pare di avere veramente un cespuglio in testa tutti elettrizzati che se li tocchi prendi pure la scossa e speriamo che nel giro di mezza giornata almeno l’elettricità che li rende così stopposi li lasci e che la crema faccia effetto che io la prossima volta che mi devo lavare i capelli mi sa che faccio bollire tre pentole di acqua e poi la filtro e me li lavo con l’acqua distillata insomma dicevo chi davvero si deve preoccupare del primo giorno di scuola è l’insegnante non lo studente che tu studente di che ti devi preoccupare tu che c’hai da pensare non ti lamentare tu che più che correre come un forsennato allo squillo della campanella spingendo e calpestando i tuoi compagni cercando di accaparrarti per l’anno a venire il banco più lontano dalla cattedra e più vicino al tuo amichetto altro non c’hai da fare il primo giorno di scuola mentre non so quali clownerie l’insegnante di inglese si dovrà inventare perché devi essere severa e fargli capire subito chi comanda però allo stesso tempo devi rassicurarli e non devi inibirli soprattutto con una materia delicata come l’inglese che se interviene il filtro affettivo e il livello di ansia è finita li hai persi per i tre anni successivi allora che fai gli fai fare un bel test d’ingresso che così un’ora intera se ne vola via però attenzione che anche con quello loro fin dal primo giorno si sentono giudicati poverini e allora no non puoi allora li fai giocare il primo giorno in prima media ecco sì un bel gioco in inglese però ricordati che loro non si sono portati nulla appresso e che a scuola la fotocopiatrice non ci sta e allora che fai o tu insegnante già stressata ti prepari tutto fotocopie materiale almeno due giorni prima il venerdì devi averci già pensato perché poi sabato le copisterie sono chiuse ricordatelo o tu insegnante imprevidente e allora via giochiamo che alla fine ricordatelo o tu insegnante sei un intrattenitore un clown un attore e la devi recitare questa farsa in cui sai esattamente dove stai andando e dove li stai portando e gli obiettivi da raggiungere e lo scopo didattico di quel gioco di merda quando la verità la pura verità è solo che ti stai cagando sotto

In farmacia me l’avevano detto di prendere le pastiglie contro il protagonismo

Stamattina sono uscita di casa presto. Una cappa di afa e di nuvole ricopriva il cielo. Per andare al lavoro passo ogni mattina per la via del mercato, e verso quell’ora è bello perché è ancora semi-vuoto, la frutta è tutta ben disposta sui banchi, ordinata e lucida, i fruttaroli ti guardano, ancora assonnati e pochi clienti da servire. Io passo proprio al centro della via. Oggi portavo i tacchi (mo’, tacchi non si può proprio dire, saranno tre quattro centimetri al massimo, ma per me quelli sono già tacchi, comunque, andiamo avanti). Mentre supero un banco di verdura sento un fruttarolo che al mio passaggio dice: “eccolaaa!”. Vabeh. Passo dritta. Subito dopo, un altro: “eccola, guarda…”. Mi viene un dubbio, ma tiro dritta. E poi ancora più avanti, un altro chiama quello due banchi dopo di lui: “Ehi, Gianni, guarda che sta arrivando! Eccola!”

Possibile che stiano parlando di me?

Non parlavano di me.

Parlavano della pioggia. 

se l’autocensura non mi boicotta, forse scrivo un post anche oggi

Ora non è che, siccome ho spostato i mobili della stanza (evviva!) e ho passato finanche lo straccio, che io mi senta veramente ri-approdata qui, sui bordi sconnessi di questa città intrigata…
Tornare a Roma ha significato anche rientrare a casa dopo un mese e mezzo di assenza, una casa con i suoi insettini che ti accolgono sorridenti sfrecciando di qui e di là veloci sui muri con le loro zampettine minuscole e furiose, significa ritrovare una casa da ripulire da cima a fondo (ma vabeh, non è che siamo fiscali qui), significa riabituarsi ai coinquilini, ai riccioli di polvere, a fare la spesa, a cucinare… significa riabituarsi ai pensieri autunno-invernali che stanno lì tutti pronti con le loro valigie scure di roba pesante, tutti pronti davanti alla porta di casa: eccoci! Stiamo arrivando! Ahhh, i pensieri autunno-invernali, non fa in tempo a cadere una foglia che già stanno tutti lì pronti, in assedio, impettiti con le loro cravattine inamidate e i loro completini ingessati, dio come li odio!
Manco fai in tempo a tornare, dicevo, che già ci sono ad aspettarti (oltre ai pensieri autunn-eccetera) i consigli di classe, il collegio docenti, la programmazione e tutte quelle menate varie a scopo rincoglionitivo e che fanno tanto bene come nutrimento ai tuoi dubbi lavorativo-esistenziali sul perché mai tu stia facendo questo, proprio questo lavoro.
A proposito di rientro a scuola, il primo giorno – consiglio di classe – ha registrato l’uscita di classe di una insegnante in lacrime, lacrime di rabbia direi, seguita da uscita repentina di preside in lacrime, lacrime di stanchezza, ansia e frustrazione direi, alla quale uscita è dunque susseguito rientro di insegnante ricomposta con occhi arrossati e parolacce varie mezze sussurrate nei confronti di suora gelidamente seduta e fingente non capire, insegnante che, sedutasi al banco accanto al mio, è stata gentilmente e  dolcemente invitata dalla sottoscritta a prendere un fazzolettino dal suo pacchetto salva-insegnante-affetta-da-improvviso-attacco-di-lacrime-rabbiose, al cui invito la suddetta insegnante ha replicato freddamente con le seguenti testuali parole: non me ne frega un CAZZO del tuo fazzolettino, vedendo così la sottoscritta rimpicciolirsi e riaccartocciarsi silenziosamente nel suo banchetto fino alla fine del sopracitato consiglio di classe. Al rientro successivo della preside ancora in lacrime è dunque seguita una predica-rimprovero di minuti 12, pronunciata con voce spezzata dai singhiozzi, che sostanzialmente aveva un unico chiaro messaggio: non ammalatevi, non assentatevi, non permettetevi. MAI! (capite poi il mio disappunto quando mamma dal lontano paese del nord-est mi dice con nonchalance: beh, devi venire in questa occasione, che so, prendi l’aspettativa….!!!). Questo comunque era il giorno 1. Giorno 1 prima dell’inizio della scuola, capite? Pensa te quello che sarà dopo, durante…
Comunque. Dicevo che finalmente ho cambiato i mobili della mia stanza. Il letto di qua, il mobile di là, la libreria vicino alla finestra, trallalà. Tra le altre cose ho anche fatto uno striscio lungo 30 e profondo mezzo centimetro sul parquet per spostare quel divano puzzoso e ammuffito che mi ammorbava ogni volta che lo vedevo, ma che vi devo dire, qualche sacrificio bisognerà pur farlo per avere una stanza non-odorante-muffa-stantia.  Tutto sommato è andato tutto bene, l’ultima volta che ho dovuto spostare mobili (al trasloco), un mio amico che mi ha aiutato gli è caduta la rete del letto sopra la caviglia mentre inciampava sugli scalini crollando rovinosamente sul pavimento dell’entrata urlando parolacce e ululati di dolore e slogandosi la caviglia di netto…insomma, meglio il parquet della caviglia del mio amico…

Ulisse (no, non il cane di mia zia, il libro)

Ultimamente mi ritrovo circondata di individui che leggono molto. Ciò mi rende molto contenta, considerati i lunghi anni in cui mi vedevo circondata da capre che parlavano solo di shopping soldi e macchine. Ciò nonostante eccomi qui a perorare la causa, una causa, la mia. La causa di chi, io, sta leggendo l’Ulisse di Joyce. Ma in italiano, e prendendosi il suo tempo. Sì perché, vedete, io ultimamente mi ritrovo circondata di individui che l’Ulisse l’hanno letto in lingua originale, e in un solo giorno, perché ‘è solo così che si deve leggere l’Ulisse’.
Io l’Ulisse me lo sto leggendo in tutta calma, piano piano. Vedete, io l’Ulisse, sono quattro anni che lo sto leggendo…Ho cominciato quando abitavo a Dublino, libro preso in prestito dalla biblioteca, in lingua originale.. Sono arrivata a pagina ottanta. Dopodiché, compratami l’edizione italiana con la guida annessa, ho proseguito così, piano piano, per un’altra ventina di pagine. Poi l’ho riposto, per un po’, mi sono detta. L’ho ripreso quest’anno, a maggio, e ho ricominciato da pagina ottanta, più o meno. E ora, lenta e inesorabile, sto giungendo al suo compimento. Io l’Ulisse lo leggo arrabbiandomi molto con il suo autore, perché secondo me lui mentre lo scriveva se la rideva molto di come avrebbe affaticato il suo lettore, di come lo avrebbe preso in giro a stare appresso a tutte quelle frasi lì a tutto quel riempimento lì. Hahahaha, rideva tra sé e sé, ora gli faccio vedere io a quel lettore lì che crede di sapere tutto, lo snervo, lo sdreno, lo sfiacco. E in effetti così fa. Per leggere l’Ulisse, tu lettore devi accettare di farti prendere molto per il culo, devi farti piccolino e entrare sommessamente nell’onda spropositata di pensieri che ti stanno per investire. Devi lasciarti un po’ tormentare, e un po’ sbranare, da tutti quei pensieri. Devi lasciarti cadere in trance, con tutti quei pensieri lì, come se fossero i tuoi di pensieri, come quando ti incanti e la mente ti si riempie di mille cose e te non riesci a seguirle tutte, e poi non te le ricordi tutte, le cose che hai pensato in quegli istanti lì. Io l’Ulisse lo leggo così, un po’ incantata, ma non distratta, cullata piuttosto, trasportata, senza resistenze, dalle onde di un fiume sotterraneo.
Io stamattina (è l’una veramente…mi sono svegliata tardi), in realtà volevo scrivere qualcos’altro,  mo’ non me lo ricordo più cosa volevo scrivere.  

Come tratti i tuoi libri?

Mi è capitato di trascorrere qualche giorno a Verona in compagnia di mia madre. Per fare un po’ di cordiale conversazione, una mattina le ho detto:
– Mamma guarda questo libro, ancora devo iniziarlo e già è tutto liso, spiegazzato e orecchiuto…
Mia mamma mi guarda con fare interrogativo e replica:
– Embè? Qual è il problema? I libri DEVONO essere così, devono essere usati, spalancati, scritti, sottolineati, spiegazzati, maltrattati…usati insomma, guarda!
Prende un librino dalla borsa e comincia a squartarlo, spalancarlo, spiegazzarlo, torturarlo pensavo io guardandola.
– Non capisco dove sia il problema… cosa vuoi, sbirciare le pagine da una minuscola fessurina per non creare la piega sul dorso? Ma il dorso è fatto apposta per essere piegato, guarda! (prende il libro e lo rivolta a rovescio). I libri vanno usati e dunque rovinati, si fa così, tutta la nostra famiglia ha sempre fatto così, è così e sarà sempre così (per tutti i nostri giorni, nei secoli dei secoli Amen). Qual è il problema?”
Allora ho capito che, oltre al fatto che fare cordiale conversazione con mia madre è sempre un po’ complicato, dicevo, ho capito anche che è una questione genetica questa della manutenzione dei libri, un fattore ereditario. Nel mondo esistono due categorie di persone: i manutentori ordinati di libri e i manutentori disordinati di libri. Io rientro nella seconda categoria, e dunque non ho scelta, è destino, sarò sempre una lettrice disordinata e i miei libri saranno sempre spiegazzati e unti… I manutentori disordinati di libri, per quanto ci si impegnino, non hanno alcuna speranza contro la minaccia delle pieghe, delle copertine lise e degli angoli sbeccati. Io quando esco di casa ripongo il mio amato libro in una bustina, possibilmente un po’ rigida, delicatamente con cura e attenzione. La bustina viene lentamente deposta nella mia borsa, penne e matite vengono accuratamente estratte dall’interno del libro. Ognuna di questa precauzioni è completamente inutile, quando in metro prendo il mio libro, sarà già un po’ ingiallito, appallottolato, sgualcito. Gli angoli saranno ormai diventati palline di mollica di carta, la copertina già tutta rigata, tra una pagina e l’altra ci saranno già briciole e granelli di sabbia. Poi per quanto mi sforzi di non creare la pieghetta sul dorso, eccola lì, ancor prima di arrivare a pagina tre, quella crepetta fine ma decisa, che corre lungo tutto la lisca verticale del mio libro-pesce.
I manutentori ordinati di libri non conoscono di questi drammi: i loro libri sono impeccabili, lisci, gli angoli appuntiti, le pagine stirate, la carta bianca. In poche occasioni ho potuto vedere dei veli di scotch a ricoprire puntine di angoli che minacciavano di scomporsi. Il loro scotch è sottile, trasparente, perfettamente disteso sulla parte infetta. Nemmeno si vede. Dà quel tocco di importanza, di cura in più. Quando provo io a mettere lo scotch sugli angoli, dopo poco diventa giallo, si stacca, fa le bolle. I manutentori ordinati di libri, quando comprano i libri di seconda mano, anche quelli sono perfetti e apparentemente inusati. Le pagine ingiallite, in mano loro, assumono un aspetto solenne, antico, rispettabile. I miei libri di seconda mano mi sono sempre arrivati già sull’orlo dello sgretolamento.
Nella scala da uno a dieci dei manutentori disordinati di libri io penso di essere un sette abbondante, l’impronta genetica materna deve aver giocato un ruolo molto forte, (mia mamma deve essere un dieci, e lì ha giocato molto l’impronta paterna: mio nonno sottolineava i libri con la penna rossa e quella blu facendo delle ondine sotto ogni parola). Mia sorella deve aver preso di più da mio padre allora, perché lei, per quanto legga e sottolinei e si scarrozzi due figli in giro per la città con i libri appresso, non li riduce mai in poltiglia come faccio io. Quando vivevamo insieme non me li faceva leggere i suoi libri, a volte avevamo copie separate dello stesso libro, la mia e la sua.
Di manutentori ordinati, credo di avere conosciuto dei nove, nove e mezzo. Loro quando mettono il libro nella borsa, non hanno nemmeno bisogno della bustina protettiva, i loro libri si auto proteggono, il gene della manutenzione ordinata li custodisce.