Io quando ero piccola

Io quando ero piccola dicevo scella, la scella, senza la a davanti, senza la elle con l’apostrofo. Poi, quando mi spiegarono che non era la scella, era l’ascella, io ci sono rimasta male, io ci ho messo parecchio a riprendermi. Per me sarebbe sempre rimasta la scella, staccato. Al massimo scellina, scellina la mia, scella quella dei grandi.

Io quando ero piccola ero sensibile alle cose a cui non era mai stato dato un nome, allora mi sentivo investita della missione di dare io un nome alle cose che non avevano un nome. Per esempio i fili elettrici che correvano lungo i muri delle case, come era possibile che nessuno li chiamasse mai, che non avessero un nome loro. Allora io ho inventato una nuova parola: elettrofil. Poi ogni discorso che facevo a casa e alle mie amichette, cercavo di inserire questa parola, elettrofil, nel discorso, per spargere la voce.

Io quando ero piccola, avevo forse sette anni, un giorno a scuola ho imparato una parola nuova, croco, che è una specie di fiore in germoglio. Poi il pomeriggio, al catechismo, abbiamo fatto il gioco del telefono senza fili, che bisogna dire una parola all’orecchio a catena e alla fine esce sempre una parola diversa da quella con cui si è iniziato. Io quando toccava a me a cominciare ho detto all’orecchio la parola croco. Poi, alla fine, l’ultima persona della fila ha detto: scroto. Tutti ridevano. Io non l’avevo mica capito perchè ridevano tutti.

Il gatto fa le fusa, è contento. Io non ho dormito. (ma poi ho recuperato)

La settimana di solitudine ricreativa ha anche cominciato a rompere un po’ le palle.. anche perchè dopo la giornata più bella dell’anno (so they say) di cui vi ho raccontato il tempo è andato peggiorando e quindi mo’ basta! e venite un po’ a trovarmi, insomma!

Ieri sera per dormire bene ho preso la camomilla calda (non orripilate! lo so che nei vostri bollenti lidi è impensabile) arricchita con foglie di valeriana, tiglio e passflora, una bomba di sonnifero. Ma poi il gatto è vennuto a svegliarmi alle 3 di mattina perchè voleva giocare, e non mi sono più riaddormentata. poi dopo la prima colazione dell 6 di mattina (caso eccezionale) ho overslept fino alle 11, ehm…

comunque è sabato, eh. Poi c’è domenica, poi c’è lunedì. Poi arrivano i rinforzi.

O tu Blogger

O tu Blogger,
che ti ho commentato un paio di volte all'inizio dell'anno e che c'hai i baffetti e la barbuzza e che hai un titolo che dentro forse c'è la parola "pensieri", io non me lo ricordo come ti chiamavi e neanche il titolo esatto del tuo blog, che però era simpatico e volevo ricapitarci su..
O tu Bloogger,
se passi di qui e capisci che sto parlando di te, sì, tu proprio tu, palesati!

Caro foglio bianco

Caro foglio bianco,

lo so che oggi sei solo un foglio bianco e ogni volta che provo a scrivere qualcosa tu irrimediabilmente ci sputi sopra e mi insulti fino a che non cancello e tu ritorni tutto bianco. Caro foglio bianco, lo so che a te piace il bianco, che ami il candore e la purezza di questo innocente colore. Lo so che non vuoi prendere alcuna posizione, che ti piace non dire niente, e stare così, in silenzio. Caro foglio bianco, lo so che su William Trevor non hai assolutamente niente da dire, che in realtà non hai nulla da dire su nulla, che sei indifferente a tutto ciò che ti circonda e che cotale atarassia è la forza del tuo essere. Lo so che per te l’unica cosa importante è che non ti si sporchi con queste sciocche parole e queste sciocche teorie. Il silenzio e solo il silenzio ti si confà e tale aristocratica superiorità ti distingue da tutti gli altri comuni fogli. 

Caro foglio bianco, hai ragione, sono tutte sciocchezze.

Io però questa relazione la devo scrivere.

Quindi, ti prego, smettila di insultarmi, lasciati macchiare di sciocche teorie e sciocche parole, lasciami lavorare in pace.

Dopo di te,

ne verranno molti altri,

di fogli bianchi.

Vi do un consiglio: non fate i dogsitteri se una delle vostre paure profonde e dormienti è quella di essere aggrediti da un cane (non svegliate il can che dorme), oppue fatelo perchè è una bella esperienza, ma sappiate che avrete paura…

 

Effetti collaterali del parlare in pubblico

Sudorazione rancida e abbondante, arrossamento di guance e orecchie, macchie inquietanti su petto e collo, passaggio repentino dal caldo a un freddo congelante, brividi di freddo improvvisi, tremito di mani, braccia e gambe, incapacità di tenere fermo il piedino della gamba accavallata, contrazione dei muscoli di tutto il corpo ma in particolare dei polpacci, sopravvenuto dolore di polpacci, incapacità di continuare a seguire la lezione dopo l'intervento, incapacità di scrivere appunti dopo l'intervento, totale estraniazione spaziale (dove mi trovo?), e totale estraniazione identitaria (chi sono io?), e peggio di tutto, causa suddetti effetti, incapacità di riportare esattamente e serenamente la domanda che ti eri prefissa di porre, e quindi: voce tremante e finissima e pianissima, incapacità di seguire col pensiero quello che stai dicendo, perdita del filo conduttore, amnesia improvvisa, perdita delle coordinate spazio-temporali, sguardo interdetto della professoressa e dei colleghi che ascoltano un po' imbarazzati, annegamento finale nel mare di oblio in cui ti sei precipitata….
Perchè fare domande a lezione? spiegatemelo.

Post in difesa delle gatte morte

Allora premetto anzitutto che anch’io ce l’ho con le gatte morte. Poi, figuratevi, vengo dal nord, ce l’ho presente quelle con le perle alle orecchie e i capelli lisci e mesciati raccolti in una codina ordinata e precisa e la borsa luivitton e i jeans con le paiette con l’orlo perfetto che non struscia sotto la suola delle scarpe e i mocassini di geox, quelle che di ritorno da Londra te le ritrovi dietro di te in aereo con l’ultimo romanzo della Kinsella sotto braccio e le varie sportine di Guess e Valentino e diecimila sacchetti di Harrods che le ammazzeresti con il loro tranquillo: “allora domani ci vediamo con la giuly e la dory e prima passiamo da Dior che devo ritirare l’orologio di papà e poi magari lo spritz da Augusto” etc etc, sì vabeh, lo so che non rende molto, e del resto io le gatte morte non le frequento quindi non lo so veramente come parlano… Anch’io non le sopporto, dicevo, soprattutto la collana di perle, che c’hai venticinque anni perché ti metti la collana di perle, sì è vero che fa molto chic, però c’hai pure venticinque anni, mica ottanta! E odio anche gli orecchini di perle, non perché non mi piacciano ma perché ve li mettete soprattutto voi, gattaccie morte. Ed è soprattutto per questo che nonostante l’inizio non incoraggiante, questo post è in realtà un post in difesa delle gatte morte, e mo vi spiego anche perché.
Perché io ho trascorso anni e anni della mia lunga vita – e non gli anni adolescenziali, credetemi.. no, ero già grandicella – portando i seguenti capi di abbigliamento: blu jeans a zampa d’elefante belli il primo anno, sdruciti il secondo anno, stracciati e sporchi di fango fino al ginocchio dal terzo anno in poi (non importava quanto li lavassi, ormai il fango era parte di sé, del resto sono stati il pezzo forte da me indossato durante i piovosi anni irlandesi); giacca di pelle bucato sotto l’ascella, maglione collo alto smesso dalla sorella maggiore da parecchi anni ma da me medesima considerato come nuovo, eskimo di velluto verde militare con cappuccio, pantaloni di velluto viola, bordeaux, blu elettrico, a seconda, etc. Mi ci sentivo tanto bene, mi ci trovo tuttora bene a vestirmi così (quasi così, i jeans mi sforzo di mantenerli a livello secondo anno…). Sì è vero, mia mamma, tuttora quando mi vede mi dice per piacere non vestirti come una barbona o una stracciona (non guarda nemmeno più cosa io abbia addosso, lo dice di default). Ma, io pensavo allora, la cosa rassicurante è che non rischi di essere considerata una gatta morta, o un bellina niente cervello, o una bambolina di porcellana, come tanti mi soprannominavano. Te mi dici: “sembri proprio una bambolina”? E io mi vesto come un artista di strada. Te pensi che io sia una gatta morta? E io ti faccio vedere che non lo sono. E così via.
Comunque. Fin quando è arrivato il momento, fatidico, di fare anch’io i primi passi verso quel mondo chiamato femminilità! Viva! E credetemi non è stato per niente facile. Ora sto attraversando la fase che provo ogni tanto a mettermi i tacchi. A parte il fatto del male ai piedi, che non sono abituati, poveri piedini, dopo trentun anni a ballerine e Doctor Marteens, il difficile è proprio quello di abituarti all’idea di essere una-che-si-mette-i-tacchi, una donna-che-porta-i-tacchi-(donna?!), è una rivoluzione rispetto all’idea che uno ha di se stesso (ma ci capite nulla voi uomini?). La fase gonna l’ho già passata e ora la porto abbastanza naturalmente, la minigonna…mmmm più complicato, scegliendo con molta cura i luoghi e le situazioni. In ogni caso mai minigonna e tacchi insieme. La minigonna deve essere sdrammatizzata.
Poi da quando lavoro a scuola, le perle alle orecchie, ogni tanto ci stanno bene, perché no? Perché no, mi dico, perché ormai io e me stessa abbiamo assodato che no, non sono una gatta morta….
Perciò, questo è un post in difesa delle gatte morte, per un motivo assolutamente autoreferenziale, com’è tutto questo blog del resto. Perché magari una mi conosce per la prima volta proprio quel giorno che io, raccogliendo tutto il mio coraggio di ragazza-ammazza-femmnilità, indosso, che so, una gonna e le perle alle orecchie, e magari proprio quel giorno non porto una delle mie borse con le pezze e la lana e la tracolla rotta e riannodata e magari ho preso una borsa una di cuoio nero da portare nelle occasioni e tu ragazza alternativa mi vedi e pensi ah ma quella è solo una gatta morta quando non sai o tu ragazza alternativa non sai tutto il percorso-recupera-femminilità che si annoda dietro quel mio abbigliamento di stamattina, dietro quel gesto banale di mettermi le perle alle orecchie, che non hanno niente a che vedere con le perle delle gatte morte, le mie, le mie sono le perle della rinascita, le perle della femminilità ritrovata.
Dunque non chiamiamole più gatte morte, non chiamiamole proprio, non pensiamo eccone un’altra quando sta passando, perché dietro a un paio di perle alle orecchie potrebbe nascondersi una come te.