Allora premetto anzitutto che anch’io ce l’ho con le gatte morte. Poi, figuratevi, vengo dal nord, ce l’ho presente quelle con le perle alle orecchie e i capelli lisci e mesciati raccolti in una codina ordinata e precisa e la borsa luivitton e i jeans con le paiette con l’orlo perfetto che non struscia sotto la suola delle scarpe e i mocassini di geox, quelle che di ritorno da Londra te le ritrovi dietro di te in aereo con l’ultimo romanzo della Kinsella sotto braccio e le varie sportine di Guess e Valentino e diecimila sacchetti di Harrods che le ammazzeresti con il loro tranquillo: “allora domani ci vediamo con la giuly e la dory e prima passiamo da Dior che devo ritirare l’orologio di papà e poi magari lo spritz da Augusto” etc etc, sì vabeh, lo so che non rende molto, e del resto io le gatte morte non le frequento quindi non lo so veramente come parlano… Anch’io non le sopporto, dicevo, soprattutto la collana di perle, che c’hai venticinque anni perché ti metti la collana di perle, sì è vero che fa molto chic, però c’hai pure venticinque anni, mica ottanta! E odio anche gli orecchini di perle, non perché non mi piacciano ma perché ve li mettete soprattutto voi, gattaccie morte. Ed è soprattutto per questo che nonostante l’inizio non incoraggiante, questo post è in realtà un post in difesa delle gatte morte, e mo vi spiego anche perché.
Perché io ho trascorso anni e anni della mia lunga vita – e non gli anni adolescenziali, credetemi.. no, ero già grandicella – portando i seguenti capi di abbigliamento: blu jeans a zampa d’elefante belli il primo anno, sdruciti il secondo anno, stracciati e sporchi di fango fino al ginocchio dal terzo anno in poi (non importava quanto li lavassi, ormai il fango era parte di sé, del resto sono stati il pezzo forte da me indossato durante i piovosi anni irlandesi); giacca di pelle bucato sotto l’ascella, maglione collo alto smesso dalla sorella maggiore da parecchi anni ma da me medesima considerato come nuovo, eskimo di velluto verde militare con cappuccio, pantaloni di velluto viola, bordeaux, blu elettrico, a seconda, etc. Mi ci sentivo tanto bene, mi ci trovo tuttora bene a vestirmi così (quasi così, i jeans mi sforzo di mantenerli a livello secondo anno…). Sì è vero, mia mamma, tuttora quando mi vede mi dice per piacere non vestirti come una barbona o una stracciona (non guarda nemmeno più cosa io abbia addosso, lo dice di default). Ma, io pensavo allora, la cosa rassicurante è che non rischi di essere considerata una gatta morta, o un bellina niente cervello, o una bambolina di porcellana, come tanti mi soprannominavano. Te mi dici: “sembri proprio una bambolina”? E io mi vesto come un artista di strada. Te pensi che io sia una gatta morta? E io ti faccio vedere che non lo sono. E così via.
Comunque. Fin quando è arrivato il momento, fatidico, di fare anch’io i primi passi verso quel mondo chiamato femminilità! Viva! E credetemi non è stato per niente facile. Ora sto attraversando la fase che provo ogni tanto a mettermi i tacchi. A parte il fatto del male ai piedi, che non sono abituati, poveri piedini, dopo trentun anni a ballerine e Doctor Marteens, il difficile è proprio quello di abituarti all’idea di essere una-che-si-mette-i-tacchi, una donna-che-porta-i-tacchi-(donna?!), è una rivoluzione rispetto all’idea che uno ha di se stesso (ma ci capite nulla voi uomini?). La fase gonna l’ho già passata e ora la porto abbastanza naturalmente, la minigonna…mmmm più complicato, scegliendo con molta cura i luoghi e le situazioni. In ogni caso mai minigonna e tacchi insieme. La minigonna deve essere sdrammatizzata.
Poi da quando lavoro a scuola, le perle alle orecchie, ogni tanto ci stanno bene, perché no? Perché no, mi dico, perché ormai io e me stessa abbiamo assodato che no, non sono una gatta morta….
Perciò, questo è un post in difesa delle gatte morte, per un motivo assolutamente autoreferenziale, com’è tutto questo blog del resto. Perché magari una mi conosce per la prima volta proprio quel giorno che io, raccogliendo tutto il mio coraggio di ragazza-ammazza-femmnilità, indosso, che so, una gonna e le perle alle orecchie, e magari proprio quel giorno non porto una delle mie borse con le pezze e la lana e la tracolla rotta e riannodata e magari ho preso una borsa una di cuoio nero da portare nelle occasioni e tu ragazza alternativa mi vedi e pensi ah ma quella è solo una gatta morta quando non sai o tu ragazza alternativa non sai tutto il percorso-recupera-femminilità che si annoda dietro quel mio abbigliamento di stamattina, dietro quel gesto banale di mettermi le perle alle orecchie, che non hanno niente a che vedere con le perle delle gatte morte, le mie, le mie sono le perle della rinascita, le perle della femminilità ritrovata.
Dunque non chiamiamole più gatte morte, non chiamiamole proprio, non pensiamo eccone un’altra quando sta passando, perché dietro a un paio di perle alle orecchie potrebbe nascondersi una come te.