Mi tornano alla mente vecchissime conoscenze bibliche, retaggio di una controllata e ristretta educazione cattolica, rivelatasi troppo avanti negli anni del tutto fallimentare. Interpreto a volte eventi della giornata o interi periodi di tempo con un linguaggio che ho dismesso, ma che riemerge involontariamente in forma di blocchi fossilizzati, conchiglie che si sbriciolano nell’attimo in cui tento di tenerle in mano. Così, quando mesi fa la stanchezza e il torpore avevano ricoperto tutto come una patina grigia e opaca, risalivano alla mente le famose parole delle nozze di Canaan, “non c’è più vino,” me le ripetevo più volte durante la giornata, e trovavo che descrivessero esattamente il mio stato d’animo. Non c’è più vino, mi dicevo, e in cuor mio pregavo senza pregare che il miracoloso corollario della mancanza di vino potesse attuarsi anche nel mio caso, e che l’acqua a cui mi stavo abbeverando a questo magro banchetto potesse essere presto trasformata in vino. Sono passati dei mesi, e questo blocco linguistico riemerso dalle profondità dei ricordi si è nuovamente inabissato, lasciandomi sola a riflettere sulla vastità di parole che non trovo più, scomparse come ghiacci sommersi sotto coltri di neve pesante.
In questi giorni invece mi sovviene la storia di Abramo e di Isacco. Mi ritorna più volte durante il giorno il pensiero di Abramo che sacrifica il suo unico figlio Isacco. Abramo riceve la promessa di un figlio in tarda età, è il bene più prezioso che ha, è suo figlio. Ma Dio gli chiede a un certo punto di immolarlo in sacrificio. C’è questo lungo viaggio che padre e figlio intraprendono. Salendo faticosamente a un monte, il piccolo Isacco chiede al padre dove sia l’agnello per il sacrificio e Abramo gli risponde, sul monte Dio provvede e, pieno di angoscia, continua il viaggio verso la sommità. E’ soltanto all’ultimo istante, quando Abramo sta per piantare il coltello nel corpo di suo figlio, che un angelo ferma la sua mano e gli dice, non uccidere tuo figlio Isacco, e misteriosamente appare un ariete impigliato nei cespugli, e Abramo sacrifica quello a Dio.
Ecco, mi torna in mente questa incomprensibile storia biblica, in cui a un padre è richiesto di uccidere il proprio figlio. E trovo che questa storia descriva nuovamente molto bene come mi sento, e quello che sto vivendo.