Chi mi aiuta?

C’è una canzone che mio padre, che era un ascoltatore di musica, ascoltava quando ero piccola, di cui non ricordo nè il titolo nè le parole nè esattamente chi la canta. O meglio, quasi sicuramente sono o i Beatles o Paul McCartney da solo o Paul McCartney quando suonava con gli Wings. E’ una di queste tre possibilità. Il problema è che non so nè titolo nè testo (non credo che quelle che ricordo io siano le parole esatte: na na naa, na na naa, na na na na na naa, na na na na na-na na na-na. Anche se poi nel ritornello c’è sicuramente ‘why’ e ‘longing’  (se c’è anche ‘longing’ ero una bambina prodigio): why na na na na na na longing na Why na na na na na na na. Ecco chi mi sa dire che canzone è?
La storia di questa canzone è che è una di quelle che quando sei piccolo piccolo popolano la tua testa e i tuoi ricordi, come mio nipote di tre anni che canticchia “She loves you ye ye ye” tra sé e sé mentre gioca con le macchinine. Ai miei tempi c’erano pure i Beatles, c’era Paul McCartney, di cui si storpiavano puntualmente le parole, per cui la canzone “It’s a tug of war” diventava: papà metti “Uinuetto” (‘In a time to come, in a time to come, uinuetto vale più di mille dol-la-ri’, non chiedetemi perchè ma io la cantavo così) c’era una cassetta e una compilation (creata su misura da papà) per ogni viaggio. Nel mio immaginario i viaggi in montagna hanno come sottofondo ‘ohohoh Montana’ di John Denver, ma quando rientravamo dalle piste ci si metteva “Crocodile Rock”, “Daniel”, “Yellow Brick Road” di Elton John e “Rocky Racoon” e “Don’t pass me by” dei Beatles. Poi c’erano le vacanze al mare a Riva degli Etruschi e lì ricordi lontanissimi si risvegliano in mezzo a salsedine, amache, capelli sporchi di terra, scoiattoli, cavalloni e collanine di corallo e la colonna sonora è Francesco De Gregori e Riccardo Cocciante (rarissima musica italiana, in genere era sempre il pop inglese) ma c’erano anche Jackson Brown, Neil Young e Bob Dylan; poi ci sono le autostrade, i lunghi viaggi quelli fino in Scozia in macchina per ore le lunghe attese  e i traghetti e lì ci sono spesso i Dire Straits e specialmente “Walk on life” durante la quale si ballava freneticamente sbatacchiando il sedere a destra e a sinistra io e mia sorella sul sedile di dietro e papà davanti anche se doveva tenere il volante diritto. Nei viaggi a Roma c’era Venditti con “Buona domenica” e “Roma Capoccia”. Altro scivolone italo-patriottico. Paul Mccartney era dovunque, mare montagna piscina casa di amici viaggi lunghi viaggi brevi, lui non mancava mai, almeno una canzone sua era onnipresente in ogni cassettina da tenere nella nostra vecchia regata grigia.
Poi c’è stata un’ involuzione. Noi siamo diventate adolescenti e papà ha smesso i Beatles e ha indossato musica più raffinata e colta (due palle per me e mia sorella dietro a gridare: papà cambiaaaaa): sì perchè dopo la fase pop rock siamo passati alla fase celtic traditional. Amante del mondo anglosassone e dei paesi del nord, si innamorò delle cornamuse, dell’arpa, di Danny Boy e di tutte le storie tristi del folklore normanno. Loreena McKennit e Clannad quando ci andava bene, i viaggi diventarono improvvisamente calmi e soporiferi. Non sapevamo che sarebbero stati gli ultimi.
Ma mi dilungo. Ritorno alla mia canzone sconosciuta. Ebbene, per anni l’ho dimenticata.  Per anni ho cercato di ricordarmela, perchè sapevo che c’era una melodia, un gruppetto di note nella mia mente ma non volevano tornare alla superficie. Poi una notte, forse una decina di anni fa mi sono svegliata con la canzone in testa (solo la musica, e solo un pezzo, niente parole lo sapete) e mi sono impegnata a tenerla a mente ancora fino al mattino dopo e oltre, avevo una paura di perderla con il sonno.
Invece è rimasta. Un episodio simile ma andato a buon fine è la colonna sonora di Billy the Kid quella di Bob Dylan, altra colonna sonora fanciullesca perduta per anni e poi fortuitamente ritrovata per caso pocchi anni fa.
Insomma la canzone è questa, se qualcuno la conosce mi aiuta? sennò non mi resta altro che spiluccarmi tutta la discografia del nostro amato McCartney finchè la ritrovo. cosa che avrei già dovuto fare da tempo. 

ps:  qui c’era un piccolo file con la melodia strimpellata con un dito sul mio pianoforte, ma ora mi sa che non si può più mettere… se conoscete tutta la discografia di paul mc cartney e mi volete aiutare, scrivete che ve lo mando!!

Laboriosa e instancabile come una formichina indaffarata, Peena mi ha affittato una stanza per sei mesi. Nessuna delle due sapeva che questo trasferimento preso per necessità da parte mia e per spirito di accoglienza e di curiosità da parte sua ci avrebbe catapultato in un tête-à-tête senza esclusione di colpi, nel bene e nel male, che si è protratto fino al definitivo cedimento delle parti e conseguente mio allontanamento (senza spargimento di sangue, per fortuna). Per me Apina si era ormai trasformata in una cara vecchia zietta, con le mie psicomanie di affezionarmi alle persone più improbabili della terra. Cara vecchia zia quindi la amavo, e poi invece la odiavo perché la mattina entrava in camera mia e mi rifaceva il letto, da capo, perché secondo lei io non lo facevo bene.
Quarant’anni prima, Peena era una giovane sposa con due figli piccoli quando il marito morì dopo una lunga sofferta malattia. Prima di morire, il marito chiese al figlio più grande di promettergli che non avrebbe fatto risposare la madre. Mai più.
Lei non si risposò, il figlio per fortuna sì, ma non si staccò mai dall’amore intollerante verso una madre da proteggere e non si liberò mai da una promessa fatta ad un padre su letto di morte e di cui ancora la voce risuona per i corridoi della casa. Lei sarebbe stata solo sua, loro, dei due fratelli.
Ora, a settantatrè anni, i rimpianti risalgono come amare erbe non digerite. Per non pensarci affitta una stanza che è un mausoleo di una vita sacrificata: foto di quarant’anni fa, quadretti della prima comunione di figli ormai grandi, lettini e copertine di fanciulli, e una nebbia densa di passato con la quale ho dovuto convivere in quei mesi. La notte, mentre dormiva – non credo la mattina si ricordasse di nulla, non sempre in ogni caso – la sentivo imprecare contro il vicino che faceva partire la lavatrice alle undici di sera: chiamo i carabinieri, chiamo l’amministratore, ti faccio arrestare, brutto diavolo. La mattina tornava dolce e fresca come una rosa, di corsa al mercato e poi a comprare le verdure fresche per quei pranzetti che rimpolpavano i miei pasti strampalati.

Roba Vecchia

Dunque, io non cucino mai. Non cucino, perché cucinare per me sola non mi dà soddisfazione, mi passa la fame, mi annoio. I miei pasti si compongono di quello che trovo di fresco in frigo (anche se mi assicuro di mangiare le mie cose fresche, solo ed esclusivamente quando si trovano sull’orlo della scadenza; se la crescenza non ha cominciato a diventare giallina, se l’uva non si è annerita, se il parmigiano non si è ammuffito, NO. Non li mangio). Ebbene, i miei pasti variano da: crescenza (o stracchino, a seconda dell’umore), pomodorini con olioacetobalasamicosale, bieta (o cicoria o spinaci) quella congelata a cubetti, minestrina con dado, prosciutto crudo, una volta ogni tanto la fettina di carne voltata e girata solo quando mi dicono di mangiarla perché paio esangue e la carne fa sangue, spinacine del todis, bastoncini (non findus, quelli del discount) uno spicchio di mela. Poi, benedetta provvidenza, mi approfitto di quello che la mia dolce hospitalera cucina per sé, e siccome è una grande cuoca, ecco che i miei pasti si arricchiscono anche di assaggi di: melanzane grigliate, polpette, minestroni freschi, peperoni friggitelli fatti col sughetto fresco (fresco: parola importante nella mia cucina), eccetera.
Ma l’altra sera ho cucinato. Ebbene sì, solennemente. Ho comprato i finocchi e le carote, i pomodorini li avevo già in casa e siccome stavano marcendo in frigo, ho pensato bene che fosse arrivato il momento giusto per utilizzarli. E ho deciso di cucinare una delle mie zuppe, una di quelle per le quali sono famosa in tutto il mondo. E cioè metti a bollire la verdura (qualunque in realtà), poi quando è tutto molliccio prendi il mixer e frulli tutto e ti viene una specie di crema, un potage, come mi suggeriscono dalla regia, poi ci aggiungi la pastina se vuoi, e poi ci metti l’olio, il parmigiano (o pecorino), uno spruzzetto di pepe, e se proprio vuoi morire di bontà ci metti un cubetto di crescenza che si scioglie e diventa tutta filante. Mmmmm, gnam, gnam.
Insomma, così ho fatto. E Peena mi guardava incerta, incuriosita, silenziosamente passando dietro le mie spalle, e odorando questo profumino che saliva dal mio calderone gorgogliante. Hehe, ti faccio vedere io che cuoca sopraffina!
Così, quando l’intruglio è pronto e fumante nel mio piatto, con la pastina, l’olio il parmigiano e la Crescentina, io, con nonchalance, dico a Peena che mi guarda sospettosa, Peena prendi pure, fai pure, ce n’è un sacco! Mah…no, non mangio stasera, ma…solo un assaggio dai. E io trionfante, come sono bella brava e buona.
Mmm, che buono questo Potaaage, brava, che ci hai messo?
Così mangiamo tutt’e due la mia zuppa magica, sennonché, a un tratto, come per magia, qualcosa accade…Una minuscola zampina fa capolino dalla mia zuppa, come se volesse salutarmi, farmi un cenno, fare amicizia con me, e poi un’antennina, e poi due simpatiche alette, sventolano su un chicco di pastina galleggiante…A Peena ovviamente non sfugge la mia espressione sconvolta, mentre altre testoline si affacciano dalla mia zuppa. Corriamo a vedere la confezione della mia pastina e scopriamo che brulica di faccine nere e alettine svolazzanti! Ci sono le farfalle nelle mie farfalline!!!
Io tolgo dignitosamente l’insettino dalla mia zuppa, lo sposto, per così dire, e proseguo a mangiare silenziosamente… Tanto è solo un moscerino, dico, come se niente fosse…Peena mi guarda imbarazzata e lievemente disgustata, non finisce la mia buonissima zuppa…
E qui finisce il mio tentativo di tornare agli antichi splendori, quando, oltre a essere simpatica, anche cucinavo. Ma non temete, ci saranno tempi migliori, e sarete tutti invitati a uno dei miei manicaretti famosi in tutto il mondo.
Ps: scusate se parlo sempre di me, ma sto attraversando una fase maniaco-narcisistica e in farmacia mi hanno detto che devo assecondarla.

Se voi foste tutor di una università, e il giorno degli esami vi capitasse di dover correggere dei compiti che hanno il punteggio in sessantesimi da trasformare in trentesimi, voi cosa fareste? Dividereste per due il punteggio. Facile.

Io no, io faccio la proporzione, io moltiplico il voto per trenta e poi lo ridivido per sessanta, con matita e foglietto di carta, con ascelle bagnate e  goccioline di sudore sulla fronte, con faccia rossa e occhio spaventato. Il tutto davanti a studenti, professore e colleghi tutor stupefatti.

Scherzi dell’emozione.