Mi infilo in questo 2013 vestita di stracci, circondandomi di borocilline per la tosse, cospargendo malumore chi pijo pijo, e autopunendo la mia capacità di autodeterminazione con viaggi in treno non esattamente programmati, fughe verso la solitudine romana e borse non richieste sotto gli occhi. Buon anno a tutti.
Rientrata a Roma dopo una sorta di rocambolesca fuga da me stessa, ho diciamo così, programmato questi due tre giorni di studio forsennato, studio che è stato per così dire eletto a elemento scaccia-ansia, portatore di ordine interiore ed esteriore, pace dell’anima e armonia con parenti amici fidanzati e professori tutti. Il programma prevedeva sveglia presto, entro le otto, ascolto di pagina tre durante la frugale e breve colazione, velocissima riordinata dei locali domestici al fine di garantire un ambiente armonico e ordinato che riflettesse lo stato d’animo del diligente studioso e, finalmente, dopo giorni di nostalgica sofferenza, l’ambito trono: collocazione alla dolce scrivania su cui riposano le amene carte dei miei studi dottorandeschi. Sì, questo il programma. L’attuazione del suddetto è ben altra cosa. Si dia il caso che in questi ultimi giorni io sia riuscita spostare un tantino in avanti il ritmo del sonno così, pur essendo andata a letto molto presto per favorire il buon ritmo di apprendimento del discente compunto, mi sia di fatto addormentata ben oltre le tre. Ça va sans dire, la sveglia alle ore otto è stata ignorata, e preferita a una ben più volgare sveglia alle ore diecietrenta, l’infervorante riordinata interiore ed esteriore è stata sostituita a una scialba e oziosa passatina di spugnetta qui e là, e l’inizio del solenne e onorevole studio è stato ritardato alle ore mezzogiorno, cinque minuti dopo il quale ho ritenuto opportuno mettermi a cucinare per il pranzo.
Ma non temete. Sto prendendo il ritmo.