No, non sono cool

Quando torno a casa, al paese intendo, che poi paese non è, è una cittadina, vedi qui, non sono cool, non sono cool proprio per niente.
Passo le giornate al mare, cercando di esistere il meno possibile.

A volte ci vado da sola, saluto appena, con un cenno minimo, i vicini di ombrellone, mi stendo sul lettino, e leggo il mio libro. Leggo il mio libro per due, tre, quattro ore. Non alzo mai la testa, non parlo con nessuno. I vicini di ombrellone sono gli stessi da ventisei anni, cioè dal 1984, anno del nostro arrivo in questa ridente cittadina di mare. Alcuni ormai sono anziani, decrepiti, curvi, ma continuano a venire in spiaggia. (notare: qui si dice “andare in spiaggia”, non “al mare”: il mare quasi non si vede dal mio ombrellone, è tutta spiaggia, la mia spiaggia, il mare è ininfluente, almeno d’estate, non per me che il bagno me lo faccio lo stesso nonostante il grado di torpidità dell’Adriatico). I vicini di ombrellone, dicevo, ogni tanto mi guardano, si chiedono – io mi immagino si chiedano – cosa io faccia tutta da sola lì al mare anche quest’anno,  tutti gli anni la stessa immagine, questa ragazza tutta da sola in spiaggia, ma non ce l’ha un moroso una vita, degli amici? Quando vado al mare con mia sorella, mi dò tutta ai miei nipoti. Gioco con loro, mi diverto con loro, parlo con loro. I miei nipoti hanno rispettivamente tre anni e mezzo e un anno e mezzo. I miei amici dell’estate.
Se non vado al mare, mi aggiro come un fantasma vagamente depressa con la mia bicicletta rossa e le orecchie farcite di musica mista. Mi immagino la gente che mi vede e che mi conosce (qui tutti si conoscono) e che si chiede, ma come? ancora sola? pure quest’anno?

Avevo degli amici una volta, qui al paese. Ora, non lo so, non ce li ho più, li ho persi di vista, troppi anni fuori credo, troppi cambi di pensiero, forse, troppe vicende interiori, anche.
A volte li incontro per strada. Li evito terrorizzata, abbassando lo sguardo quando possibile. Altre volte li saluto entusiasta, e loro ricambiano felicemente stupiti, come dire, ma guarda, ma non riesco mai ad andare oltre la soglia del saluto, fermarmi per esempio, a fare due chiacchiere, addirittura proporre un’uscita fuori, una birra insomma, per risentirsi. Mi piacerebbe. Davvero. Ci penso sempre. Ma poi, la maggior parte delle volte che li incontro, sono le volte che mi trascino vagamente depressa dal lettino della spiaggia al bar a prendere un gelato, o per strada da sola a guardare una vetrina, o in bici e non mi va, saluto o cerco di rendermi invisibile.
Quando mi sento cool, invece, non incontro nessuno.
Quando mi preparo, quando mi dico: oggi, se incontro qualche vecchio amico, mi fermo, sono pronta sono bella eccomi! non incontro nessuno. Oggi per esempio, mi sentivo cool. Sarà che, dopo quattro ore abbondanti con la testa immersa nel mio libro (Foreskin’s Lament, Shalom Auslander), finalmente l’ho finito, ero contenta, erano le sette passate, c’era il tramonto, l’arietta fresca, le gambette nude, la schiena scoperta, la bicicletta rossa, la musica cool nelle orecchie, ero contenta, ho detto: dai che incontro qualcuno!
Non ho incontrato nessuno.

La sera non esco. Mi faccio una partita a spider. Una nel senso letterale del termine, visto che non riesco a venirne fuori da una settimana e ogni sera, anche stasera, è sempre la stessa partita, poi mi guardo un film che ho nell’hard disk esterno che mi sono portata da roma, poi me ne vado a letto, poi leggo qualche pagina, poi dormo.

Il sole quest’anno ha giocato un brutto scherzo e mi si è formata una macchia sul labbro superiore. Ogni tanto mi ricordo di metterci sopra la crema schermo totale, ma spesso mi dimentico, e quando torno a casa mi gardo allo specchio, mi vedo questo spesso paio di baffi addosso…

No, decisamente non sono cool.

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