La ragazza delle quattro del pomeriggio

Certi giorni capita che ci si sveglia alle sei del mattino, senza nessuna motivazione precisa. Capita che si vorrebbe rimanere a letto fino a mattina inoltrata, ma una vocina ti dice ‘approfitta di queste ore dorate per metterti subito a lavorare’.  La brezza del mattino, la concentrazione, il silenzio, la mente fresca e ben sveglia.

Mi sono alzata, e con me la trivella che sta spaccando non so quale muro, strada o marciapiede qui sotto casa. Mi sono messa al computer, e una nuvola di ansia, angoscia e voglia di piangere mi ha assalito nell’aprire la pagina su Beckett che devo scrivere. Ho cominciato a leggere un articolo su Murphy, e sbadigli, bruciore di occhi, alito cattivo e mal di stomaco mi hanno interrotto dopo due righe. Sono tornata a letto alle ore 923, sconfitta.

Mi sono risvegliata alle ore 11. Va un po’ meglio, grazie. Ora vediamo come prosegue la giornata.

L’ho sempre saputo, il mattino non ha mai avuto l’oro in bocca per me. Sono una ragazza delle 4 del pomeriggio.

spedizione autopunitiva con picchi di acuto benessere

Ammirate la costanza, la tenacia, la perseveranza della piccola dottoranda in stato di ansiosa sollecitudine. In preda al timore di non riuscire ad accordare gli attuali equilibri sonno-veglia con l’impellenza dell’arte della scrittura, la piccola dottoranda ha attuato un piano invincibile, vincente, direi quasi al limite del masochismo: ha chiamato l’amica tedesca, l’amica carrarmato, l’amica qui-c’è-da-studiare-non-perdiamo-tempo! L’amica dal ritmo fagocitante le ha dato appuntamento alla stazione termini alle ore nove e zero dieci, e qui non c’è borocillina, non c’è insonnia, non c’è moccichino che tenga: notate l’audacia! La piccola dottoranda smarrita ma determinata e la sua compagna germanista dalle mille risorse sono andate in una biblioteca comunale vicino piazza venezia, la rispoli. Ovviamente le due hanno ripreso il filo del discorso esattamente dove l’avevano lasciato in Germania: ore di studio matto e disperatissimo alternato a chiacchierate forsennate di altrettanta lunghezza. Si sono concesse la pizza al forno di Campo de’ Fiori e il caffè da Sant’Eustachio, le piccole soddisfazioni della capitale, e se qualche poveraccio di Roma in cerca di informazioni sulla tisi è capitato qui per sbaglio, potrà senz’altro apprezzare la qualità della scelta. Certo le ore post-prandiali sono state un tantino drammatiche, con la testa che cadeva sul computer e il caldo che ronzava nelle orecchie, e la tosse che disturbava tutti, però è stata un’esperienza bellissima che spero di ripetere dom..lun… la pross settim…fra due settim… il mese prossimo! O insomma, almeno a tosse passata e ciclo sonno-veglia ristabilito a normalità.

Il fatto è che studiare a casa ha i suoi lati positivi. Prendete ora, che non sto studiando, ma sono al computer. Sono in pigiama con le gambe accavallate a mo’ di yoga, che alla rispoli non è che potrei proprio stare così, c’è la musichina di sottofondo, accanto a me c’è un bicchiere di birra, e un piattino con delle tartine con la salsa di olive e la salsa di funghi, e  scusate, ma ora devo tornare in cucina a riempire sia il bicchiere che il piattino.

Il gatto fa le fusa, è contento. Io non ho dormito. (ma poi ho recuperato)

La settimana di solitudine ricreativa ha anche cominciato a rompere un po’ le palle.. anche perchè dopo la giornata più bella dell’anno (so they say) di cui vi ho raccontato il tempo è andato peggiorando e quindi mo’ basta! e venite un po’ a trovarmi, insomma!

Ieri sera per dormire bene ho preso la camomilla calda (non orripilate! lo so che nei vostri bollenti lidi è impensabile) arricchita con foglie di valeriana, tiglio e passflora, una bomba di sonnifero. Ma poi il gatto è vennuto a svegliarmi alle 3 di mattina perchè voleva giocare, e non mi sono più riaddormentata. poi dopo la prima colazione dell 6 di mattina (caso eccezionale) ho overslept fino alle 11, ehm…

comunque è sabato, eh. Poi c’è domenica, poi c’è lunedì. Poi arrivano i rinforzi.

In farmacia me l’avevano detto di prendere le pastiglie contro il protagonismo

Stamattina sono uscita di casa presto. Una cappa di afa e di nuvole ricopriva il cielo. Per andare al lavoro passo ogni mattina per la via del mercato, e verso quell’ora è bello perché è ancora semi-vuoto, la frutta è tutta ben disposta sui banchi, ordinata e lucida, i fruttaroli ti guardano, ancora assonnati e pochi clienti da servire. Io passo proprio al centro della via. Oggi portavo i tacchi (mo’, tacchi non si può proprio dire, saranno tre quattro centimetri al massimo, ma per me quelli sono già tacchi, comunque, andiamo avanti). Mentre supero un banco di verdura sento un fruttarolo che al mio passaggio dice: “eccolaaa!”. Vabeh. Passo dritta. Subito dopo, un altro: “eccola, guarda…”. Mi viene un dubbio, ma tiro dritta. E poi ancora più avanti, un altro chiama quello due banchi dopo di lui: “Ehi, Gianni, guarda che sta arrivando! Eccola!”

Possibile che stiano parlando di me?

Non parlavano di me.

Parlavano della pioggia. 

No, non sono cool

Quando torno a casa, al paese intendo, che poi paese non è, è una cittadina, vedi qui, non sono cool, non sono cool proprio per niente.
Passo le giornate al mare, cercando di esistere il meno possibile.

A volte ci vado da sola, saluto appena, con un cenno minimo, i vicini di ombrellone, mi stendo sul lettino, e leggo il mio libro. Leggo il mio libro per due, tre, quattro ore. Non alzo mai la testa, non parlo con nessuno. I vicini di ombrellone sono gli stessi da ventisei anni, cioè dal 1984, anno del nostro arrivo in questa ridente cittadina di mare. Alcuni ormai sono anziani, decrepiti, curvi, ma continuano a venire in spiaggia. (notare: qui si dice “andare in spiaggia”, non “al mare”: il mare quasi non si vede dal mio ombrellone, è tutta spiaggia, la mia spiaggia, il mare è ininfluente, almeno d’estate, non per me che il bagno me lo faccio lo stesso nonostante il grado di torpidità dell’Adriatico). I vicini di ombrellone, dicevo, ogni tanto mi guardano, si chiedono – io mi immagino si chiedano – cosa io faccia tutta da sola lì al mare anche quest’anno,  tutti gli anni la stessa immagine, questa ragazza tutta da sola in spiaggia, ma non ce l’ha un moroso una vita, degli amici? Quando vado al mare con mia sorella, mi dò tutta ai miei nipoti. Gioco con loro, mi diverto con loro, parlo con loro. I miei nipoti hanno rispettivamente tre anni e mezzo e un anno e mezzo. I miei amici dell’estate.
Se non vado al mare, mi aggiro come un fantasma vagamente depressa con la mia bicicletta rossa e le orecchie farcite di musica mista. Mi immagino la gente che mi vede e che mi conosce (qui tutti si conoscono) e che si chiede, ma come? ancora sola? pure quest’anno?

Avevo degli amici una volta, qui al paese. Ora, non lo so, non ce li ho più, li ho persi di vista, troppi anni fuori credo, troppi cambi di pensiero, forse, troppe vicende interiori, anche.
A volte li incontro per strada. Li evito terrorizzata, abbassando lo sguardo quando possibile. Altre volte li saluto entusiasta, e loro ricambiano felicemente stupiti, come dire, ma guarda, ma non riesco mai ad andare oltre la soglia del saluto, fermarmi per esempio, a fare due chiacchiere, addirittura proporre un’uscita fuori, una birra insomma, per risentirsi. Mi piacerebbe. Davvero. Ci penso sempre. Ma poi, la maggior parte delle volte che li incontro, sono le volte che mi trascino vagamente depressa dal lettino della spiaggia al bar a prendere un gelato, o per strada da sola a guardare una vetrina, o in bici e non mi va, saluto o cerco di rendermi invisibile.
Quando mi sento cool, invece, non incontro nessuno.
Quando mi preparo, quando mi dico: oggi, se incontro qualche vecchio amico, mi fermo, sono pronta sono bella eccomi! non incontro nessuno. Oggi per esempio, mi sentivo cool. Sarà che, dopo quattro ore abbondanti con la testa immersa nel mio libro (Foreskin’s Lament, Shalom Auslander), finalmente l’ho finito, ero contenta, erano le sette passate, c’era il tramonto, l’arietta fresca, le gambette nude, la schiena scoperta, la bicicletta rossa, la musica cool nelle orecchie, ero contenta, ho detto: dai che incontro qualcuno!
Non ho incontrato nessuno.

La sera non esco. Mi faccio una partita a spider. Una nel senso letterale del termine, visto che non riesco a venirne fuori da una settimana e ogni sera, anche stasera, è sempre la stessa partita, poi mi guardo un film che ho nell’hard disk esterno che mi sono portata da roma, poi me ne vado a letto, poi leggo qualche pagina, poi dormo.

Il sole quest’anno ha giocato un brutto scherzo e mi si è formata una macchia sul labbro superiore. Ogni tanto mi ricordo di metterci sopra la crema schermo totale, ma spesso mi dimentico, e quando torno a casa mi gardo allo specchio, mi vedo questo spesso paio di baffi addosso…

No, decisamente non sono cool.

ho sonno

A volte di notte la mente culla poesie, accosta parole e suoni che risalgono la china tortuosa dei pensieri sfatti del dormiveglia. Io penso come sono belli questi suoni, come si accordano con il buio di questa notte, e con il sonno che striscia silenzioso, come spuma di mare che nella risacca mi avvolge tutta. Come sono belli, dovrei scriverli penso, domani, penso, li scrivo. Poi non ne rimane mai nulla, non una conchiglia, non una pietruzza, non un granello di sabbia. La spuma del mare se li è portati via. Non tornano, i pensieri belli, i pensieri del sonno. Restano a dondolare nella risacca del mare e il mattino dopo la corrente se li è portati via.