Io quando ero piccola

Io quando ero piccola dicevo scella, la scella, senza la a davanti, senza la elle con l’apostrofo. Poi, quando mi spiegarono che non era la scella, era l’ascella, io ci sono rimasta male, io ci ho messo parecchio a riprendermi. Per me sarebbe sempre rimasta la scella, staccato. Al massimo scellina, scellina la mia, scella quella dei grandi.

Io quando ero piccola ero sensibile alle cose a cui non era mai stato dato un nome, allora mi sentivo investita della missione di dare io un nome alle cose che non avevano un nome. Per esempio i fili elettrici che correvano lungo i muri delle case, come era possibile che nessuno li chiamasse mai, che non avessero un nome loro. Allora io ho inventato una nuova parola: elettrofil. Poi ogni discorso che facevo a casa e alle mie amichette, cercavo di inserire questa parola, elettrofil, nel discorso, per spargere la voce.

Io quando ero piccola, avevo forse sette anni, un giorno a scuola ho imparato una parola nuova, croco, che è una specie di fiore in germoglio. Poi il pomeriggio, al catechismo, abbiamo fatto il gioco del telefono senza fili, che bisogna dire una parola all’orecchio a catena e alla fine esce sempre una parola diversa da quella con cui si è iniziato. Io quando toccava a me a cominciare ho detto all’orecchio la parola croco. Poi, alla fine, l’ultima persona della fila ha detto: scroto. Tutti ridevano. Io non l’avevo mica capito perchè ridevano tutti.

Lo sfoghetto del mese.

Oggi è uno di quei giorni in cui è meglio per il resto dell’umanità che io non tocchi nulla. Dove poso mano, qualcosa si rompe, si frantuma, si sciupa.
Ho l’influ-anzia, e tutti i moccichini sparsi dappertutto in giro per casa. Sono una prodruttrice consapevole di moccichini.
Comunque. Volevo raccontarvi del viaggio in treno di questa settimana.
All’andata ho preso la multa. Beh, la multa sarebbe ammontata a 58 euro, ma la controllitrice impietosita mi ha fatto pagare 8 euro, cioè l’ammontare della tratta che non avevo pagato. Infatto dovevo smontare a Rovigo e invece sono smontata a Padova. Ma non è che volevo fare la furba. E’ che a Rovigo non poteva venirmi a prendere nessuno e ormai il biglietto l’avevo fatto, per cui sono dovuta scendere la fermata successiva. Non è mai successo che ti controllino il biglietto 10 minuti prima di scendere a Padova. Invece l’hanno fatto. Imbarazzo. Macchie rosse sul collo. Voce tremante. Comunque io lo sapevo. Me lo sentivo. Era tutto il giorno che ci pensavo. Oggi prendo la multa.
Questa è stata l’andata.
Il ritorno. Seduta posto corridoio, perchè all’inizio, i primi diciamo 150 viaggi tu prenoti il posto finestrino perchè che bello il paesaggio la poesia etc. Poi quando ti accorgi che hai bisogno di fre la pipì cambiare libro prendere il computer e insomma alzarti più di una volta capisci che conviene il posto corridoio. E così da qualche mese prendo il posto corridoio.
 A Bologna arriva uno che mi fa: io sarei lì, posto finestrino, ma ci vuoi stare tu vero? tu vuoi stare vicino al finestrino vero?

(No, cazzo vuoi? avrei dovuto dirgli).

Inveve ho abbozzato sorrisetto e ho detto Vabeh, sono scivolata accanto nel posto finestrino, in trappola direi, e lui si è seduto al posto mio.
“Piacere Lucio! tu chi sei come ti chiami di dove sei quanti anni fai che lavoro fai che libro stai leggendo cos’è cosa ti piace come trovi il treno quanto hai pagato il biglietto il caffè lo prendi macchiato o ristretto?”
Allora è ufficiale: per me (parlo per me badate) le persone che attaccano bottone in treno sono degli invasori. Perchè, o tu che rompi i coglioni che ti siedi accanto a me, devi presumere che mi faccia piacere parlare due ore e mezzo con te? cosa te lo fa pensare che io abbia voglia di spiattellarti i miei fatti? perchè mi devi imporre la tua presenza per tre dico tre ore in cui io magari ho da fare? perchè devi costringermi a dirti scusi mi lasci in pace e costringermi a diventare io la maleducata e non te che per primo mi hai disturbato?
Poi. Possibile mi devi parlare con la faccia a trenta centimetri dalla mia dico io?
(scusa puoi allontanare la tua faccia dalla mia? ti puzza l’alito. Avrei dovuto dirgli). 
Poi,  gli steretipi si sprecavano:
-ah veneta. mm dunque: i veneti mi pare siano persone chiuse, persone fredde, no? è così vero?
– mah, non saprei mi sembrano generalizzazioni…
– no, no. i veneti sono così.
– poi credimi, non sono per niente rappresentativa come veneta, davvero ci ho solo vissuto a lungo…
– m. invece tu sei proprio veneta.
– …
 E poi.
– tu comunque con quegli occhi chiari e i capelli biondi sei la tipica nordica.
– mah, io veramente… io non ho proprio nulla di nordico, mio nonno era siciliano, i miei di roma, i miei parenti paterni sono meridionali…
– e che c’entra, hai gli occhi chiari.
– ma che vuol dire, ormai non è che chi ha gli occhi chiari è del nord e chi ce li ha scuri è meridionale. non è più così.
– perchè ti arrabbi? ti sei arrabbiata.
– ma no… chi si arrabbia, dicevo solo…
– no, tu ti sei arrabbiata. Beh, puoi anche arrabbiarti resta il fatto: tu sei la tipica nordica, tu sei il prototipo della nordica. Ecco.
– vabeh.
– E’ inutile che ti arrabbi. E’ così.
E’ così. E’ così. Volevo strappargli a morsi quel naso che mi puntava davanti agli occhi (rimandi al desiderio di castrazione? sì sì come volete fate pure)
Volevo scendere dal treno e farmela a piedi fino a Roma pur di non sentirlo più parlare. Invece, sempre dicendo ma no non mi sono arrabbiata (e invece sì! sono incazzata nera, levati dai piedi!) mi sono discretamente messa le cuffiette salvifiche e ho riaperto il mio libro salvifico e mi sono spiritualmente isolata dal tizio invadente.
Certo. Io mi incazzo per nulla. Vero. Mi incazzo con lo sconosciuto del treno che vuole fare due chiacchiere, poverino. Vero. Io ho un problema con le etichette, è evidente. Certo. 
E infatti all’officina ci vado anche per questo. 
Però cercate di capirmi. Io non occupo quasi nessuno spazio. Sono piccola e bassa, non dò fastidio a nessuno. Non parlo se non interpellata.
Il mio spazio vitale è minimo, infinitesimale. Sono la persona più educata dell’universo intero. Tutta la mia formazione, è stata basata sulla buona educazione ahimé. Sono la persona più educata dell’universo. Io al ristorante, prendo la forchetta giusta. Io comincio una frase con grazie e la finisco con scusa, io. Quindi, se tu sconosciuto del treno per nessuna ragione al mondo occupi quella parte infinitesimale dello spazio vitale che mi appartiene – fisico e spirituale e verbale – io mi ti mangio. Io poi faccio finta di niente, non ti dico nulla. Anzi magari ti chiedo scusa io, però tu sappi che ti sei mangiato quella poca poca aria che mi serve per respirare.

Se in treno vedete una che legge non disturbatela, sono io. Sto studiando. Potrei mordervi.

L’altro giorno ero in treno. Ormai avrete capito che il treno gioca un ruolo fondamentale nella mia vita, direi quasi vitale. Se almeno 3/4 volte a settimana non prendo il treno e se detto treno non fa almeno due tre volte al mese un ritardo di circa 50-55 minuti ogni  volta (non di più sennò ti devono pagare il rimborso), allora non sono contenta.
Comunque dicevo ero in treno. Il treno ovviamente era fermo, era in ritardo,  55 minuti. No, non era un intercity. Era un freccia argento, ad alta velocità. No, non l’ho preso in promozione a 20 euro, l’ho pagato a prezzo pieno: 71 euro (140 andata ritorno). No, non mi hanno rimborsato.
Comunque, si siede davanti a me uno. Vi dico solo che ai polsi aveva dei gemelli d’argento più grandi del polsino stesso a forma di gatto con una coda lunga e il rubino al posto dell’occhio. Il tipico romano giacca cravatta dio come so’ simpatico, dio le donne come me guardano, dio come so’ bello e colto e profumato. Attacca bottone, il ritardo padova il ristorante, leggi guerra e pace (sì leggevo guerra e pace) insomma chiacchiera.
Ora vi devo dire che io non sono una facile da attaccar bottone. Sono imbarazzata, mi annoio, sempre gli stessi discorsi da treno, sono imbranata oltreché imbarazzata, insomma meglio guerra e pace al tizio ingiacchettato e che se la crede. Comunque tra tanti attacca bottoni che mi sono capitati questo non era così spiacevole, via.
Poi ad un tratto mentre ci avvicinavamo alla mia fermata, dopo circa cinque ore di viaggio che dovevano essere meno di quattro mi prende il libro, toglie la matita che teneva il segno, mi dice: “Lei ora mi odierà per questo” (esagerato), fa un’orecchia sul mio libro (sacrilegio) prende l’ultima pagina e con fare disinvolto ed esperto mi dice: 
“Le lascio la mia mail. le lascio anche il mio numero va’. Così se vuole può consigliarmi dei libri da leggere”. (già mi immagino: “pronto? signor F. è lei? buongiorno si ricorda di me? ci siamo incontrati in treno…ehm sì, ho pensato potesse farle piacere…ehm, la chiamo per consigliarle un libro…La Bibbia.. conosce? l’ha letto?”)
Dopo di che telefona ad un’amica e passa il resto del tempo a chiacchierare (“no, perchè lui ha saputo che io e te siamo stati a letto una notte, ma solo una notte non di più, che sarà mai una notte a letto insieme, io e te. Io e te a letto insieme, ti dicevo. A letto. Io e te, sì, ma da amiciii.io . te. letto, etc “).
Intanto io mi alzavo per scendere, dicevo arrivederla (arrivederla?!) e me ne andavo, lui non mi degna nemmeno di uno sguardo e mi dice: ‘sì rivedè… e prosegue la telefonata (io te letto etc)
Ora io a voi uomini ve la devo dire una cosa: se voi mi lasciate il vostro numero, io non vi richiamerò mai. Siete spacciati.

Ma non è perchè sono stronza.

E’ tutta una questione di tempismi e momenti.

Coincidenze e ritardi.

Posti finestrino e posti corridoio.

Corse e attese.

E’ tutta una questioni di treni.

Ve lo spiego un’altra volta.