Mi porto a scuola un astuccino rosa. Dentro ci tengo una penna nera e una penna blu, il temperino e la gomma, il righello non ce l’ho più l’ho perso, una penna rossa e diverse matite. Sono gelosa di tutto ciò che custodisce questo astuccio, in particolare di una bic nera maciullata e senza tappo ma che scrive come voglio io, e ancora rimpiango un righello di metallo che ogni volta che cadeva faceva un gran baccano, ma che ho perso.
Alcuni dei miei studenti non si portano il materiale. Lo elemosinano ai compagni che alla fine si stufano e li ignorano. Allora intervengo io con il mio astuccio rosa. Vado alla cattedra, lo prendo dalla borsa e mi dirigo verso lo studente in questione con la matita, il temperino, o la penna in mano. Gli dico: mi raccomando dopo restituiscimela che ci tengo. Se poi ci dimentichiamo e non mi ridanno quello che gli ho prestato, mi arrabbio, ci rimango male, mi infastidisco.
C’è questo studente quest’anno. Ha 16 anni, sulla soglia della delinquenza, qualche disturbo del comportamento non diagnosticato, forse un bipolarismo latente. E’ ingestibile, fuori controllo, incontrollabile. Offende, aggredisce, provoca. La mia prima lezione mi guarda, si volta verso i compagni, lo sento dire: “Ma guardatela non ha tette, ragazzi è completamente senza tette!” e devo dire che rispetto ad altri commenti, questo era quasi un complimento.
Ma ultimamente andiamo d’accordo. Abbiamo parlato, ci siamo chiariti. Noto in lui lo sforzo di non oltrepassare il limite del rispetto.
Tiro fuori dalla borsa il mio astuccio rosa e gli presto la mia matita. Gli dico: “Mi raccomando ridammela dopo, l’ultima volta che ti ho dato la matita poi non me l’hai più data, ci tengo” Insisto. Forse un po’ troppo, mi dice: “Pressoré, me lo dice un’altra volta e questa matita non la vede mai più”. Capisco e mi azzittisco.
A fine lezione mi ridà la matita, suona la campanella ed escono.
Sulla lavagna c’è scritto: “We love the English Teacher.”