La scuola è cominciata da un mese e mezzo. Le prime settimane ho sfoggiato un’energia, un entusiasmo, un’allegria mai viste. Mi svegliavo alle sette con il sorriso sulle labbra, facevo le mie cinque ore di scuola, tornavo a casa e mi mettevo a studiare, tutto il pomeriggio, senza problemi. Verso le sette si andava a correre in pineta, e poi la sera, a casa, la cena, a letto. Un ritmo invidiabile.
Da qualche giorno le cose sono cambiate. La mattina mi alzo a fatica, vado a scuola. Dopo un paio d’ore di lezione sono stanca, mi si abbassa la voce, mi spengo. Oggi per esempio, vado a scuola alle otto e termino alle tre (scusate, tra parentesi, l’orario del mercoledì: due ore, un’ora di buco, due ore, un’ora di buco – in cui mi porto il computer e tento, invano, di studiare un po’ – e dalle due alle tre il famigerato pranzetto*). Torno a casa, mi mangio un etto di pasta alle vongole, collasso al letto, dormo due ore, mi sveglio alle cinque e tre quarti, rintronata, vado a correre, giusto per dire di non aver buttato il pomeriggio, torno a casa, ceno e dormo. Di studiare, nonostante i miei continui tentativi, nemmeno l’ombra. La mia testa è una nebbia confusa di fotocopie, pagine di libri, esercizi, note sul diario, etc.
Allora, ho capito che la stanchezza arretrata dura almeno un anno; il riposo arretrato dura esattamente un mese.
Che poi, non mi piegherò a lamentarmi della mia nobile professione, però una cosa la devo specificare. Non solo io non ho mai detto nella mia vita (e tu cosa farai grande?) che avrei voluto fare l’insegnante, ma anzi, ho sempre detto che non avrei voluto farlo. E nonostante io ci metta tutta me stessa per miei bambini di scuola, qualcosa vorrà pur dire. E, a proposito di lamentele, ci sono molte, molte cose che potrei dire della mia nobile professione, ma tutto sommato le potete trovare altrove sull’internet e non mi dilungherò.
Comunque, oggi sono andata da una mia bambina di prima media, quella classe di ventisei incontenibili carognette. Le ho detto: “Lo sai che io e te, oltre ad avere lo stesso nome, compiamo gli anni anche nello stesso giorno?”. Lei mi ha guardato e mi ha risposto: ” Preferirei che mantenessimo una distanza professionale nella relazione studente-insegnante”. Haha. No, mi ha detto: “Eh!! Davvero prof. io e te oltre ad avere lo stesso nome compiamo gli anni nello stesso giorno? Che bello!!” Me li sono conquistati, lei e tutto l’entourage dei banchi accanto.
* pranzetto: prendete le vostre lauree, le vostre abilitazioni, i vostri sforzi per dottorarvi, la vostra professionalità e la vostra competenza, e buttatele tutte nel cesso! Dalle due alle tre, smettete gli scomodi panni dell’insegnante, riponete le penne rosse, indossate un comodo grembiulone e prendete in mano il vero strumento che vi si addice, il mestolo! Dalle due alle tre, eccoci tutte trasformate in assistenti al pranzo! Versate l’acqua nei bicchieri, mettete il sale nei piatti, pulite e sparecchiate, è l’ora del pranzetto! E dimenticate che nonostante il vostro buon proposito di essere utili all’umanità, in realtà a questo pranzetto aderiscano numero due studenti, che si sanno gestire benissimo da soli, e che dunque la vostra presenza lì è assolutamente immotivata ma perfetta per rimandare il vostro viaggio a Venezia alle ore cinque del pomeriggio. Dimenticate e godete, l’odore stantio di quella mensa, la nuvola di zanzare in cui è immersa, e il ricordo dei tredici-diciotto anni, quando facevi la baby sitter ripromettendoti che sarebbe stata l’ultima volta.
Ah dimenticavo. Mi sveglio di notte di soprassalto, sudata e gridando: “Kindle, Kindle! Dove sei? Torna da me…” Non c’è più. L’ho restituito.